QUANDO MENO TE L'ASPETTI
(Francia, 2013)
di Agnès Jaoui
Agathe Bonitzer
Agnès Jaoui
Arthur Dupont
Jean-Pierre Bacri
Benjamin Biolay
Dominique Valadié
Valérie Crouzet
Beatrice Rosen
Laura
Zia Marianne
Sandro
Pierre
Maxime Wolf
Jacqueline
Éléonore
Fanfan


E vissero per sempre felici e scontenti

L'incipit è fiabesco per stile e contenuti e mostra l'incontro di Laura con l'agognato Principe Azzurro apparsole in sogno, che Laura riferisce in dettaglio a zia Marianne (la regista Agnès Jaoui che si ritaglia un ruolo a tutto tondo). Durante una festa, Laura rivive il sogno e scambia il giovane compositore Sandro per il potenziale principe azzurro.

Ma l'incontro col bel tenebroso Maxime Wolf (il cui nome è tutto un programma) distrugge ogni certezza e le sconvolge la vita.

Parallelamente si dipanano anche altre esistenze: quella di zia Marianne, appena separata dal marito, che abita in una casetta di campagna assieme alla problematica figlia;

di Pierre (Jean-Pierre Bacri, co-sceneggiatore e marito della regista)

misantropo dal cuore d'oro afflitto dall'incombente data di morte predettagli anni prima da una veggente; della di lui ex moglie Éléonore e del loro figlio Sandro - lo stesso che Laura scambia per l'anima gemella - impegnato a gestire un rapporto conflittuale con il padre;

della famiglia altolocata di Laura, la cui matrigna sessantenne rifatta è decisamente più interessata a curare il proprio aspetto che a occuparsi della figlia.

L'interessante e originale pellicola di Agnès Jaoui sviluppa ogni micro-storia in uno schema di rimandi agli archetipi delle favole classiche, destrutturate e inserite in un contesto reale. I personaggi narrati a dire il vero sono davvero ben poco fiabeschi, tutti immersi nei loro dilemmi quotidiani, nei loro screzi, nelle loro idiosincrasie. Ma il trait d'union con l'universo delle favole classiche traspare di continuo dietro la facciata di mite commedia corale e se da un lato crea un divertito parallelismo tra i personaggi e i loro corrispettivi fiabeschi, dall'altro sottolinea la persistenza di tali forti simbolismi nella contemporaneità e suggerisce quanto ancora più o meno (in)consciamente ci condizionino e influenzino le nostre scelte.

Lo sguardo della regista è divertito nel mostrare le connessioni tra il mondo reale e l'universo parallelo delle fiabe, tanto quanto il nostro nel coglierne ogni rimando.

Così in un curioso ribaltamento di ruoli l'aspirante principe azzurro Sandro perde una scarpa fuggendo a mezzanotte dalla festa, non per tornare al mesto focolare di Cenerentola, ma comunque per rientrare in un contesto di quotidianità che perde la connotazione eccezionale dell'incontro con Laura; in una sequenza successiva, la matrigna della ragazza, egoista e vanitosa,

le offre una mela al pari di Grimilde verso Biancaneve (benché il carattere vanesio di Laura la avvicini piuttosto alle sorellastre di Cenerentola); diretta alla casa di campagna di zia Marianne (che rimanda all'architettura di Biancaneve, ma anche di Hansel e Gretel) Laura si perde nel bosco proprio come nel sogno iniziale e incontra Maxime Wolf avvolta in un mantello scarlatto che crea un link immediato a Cappuccetto Rosso; a ben guardare, Maxime incarna al contempo la figura del Lupo (riportata anche nel cognome del personaggio) e quella di Barbablù: «Voi ragazze non lamentatevi delle conseguenze di aprire porte proibite» - esclama minaccioso rivolgendosi a Laura, che ha appena sbirciato un SMS compromettente sul cellulare di lui; nella dichiarata insofferenza verso il mondo infantile, Pierre richiama la figura dell'orco che mangia i bambini; zia Marianne rappresenta un buffo mix tra Fata Turchina e Smemorina e comunque incarna una rassicurante figura materna spesso assente nelle favole (non a caso Marianne veste abiti da fata nello spazio ricreativo della scuola materna in cui insegna);

l'incontro fortuito tra Marianne e Pierre innesca la curiosa e divertente interazione tra due anime opposte e per questo complementari.

Il titolo italiano distoglie in questo caso dal vero significato della pellicola, espresso invece con precisione calzante nel titolo originale Au bout du conte = Alla fine del racconto: Agnès Jaoui coniuga il carattere fiabesco di alcuni passaggi del film con la concretezza del mondo reale e per questo al finale classico delle favole «E vissero tutti felici e contenti» viene aggiunta la frase emblematica «... e litigarono moltissimo».

L'impianto realistico che rimanda all'universo fantastico crea un mélange singolare capace anche di evocare temi di valenza universale: la paura d'invecchiare e di morire e la percezione della caducità della vita; l'anelito all'amore assoluto che si rivela spesso ingannevole; la necessità della fede contrapposta alla visione disincantata della vita. Il tutto permeato dallo sguardo ironico e bonario della regista d'Oltralpe, che riesce a confezionare un racconto avvincente dal languido (dis)incanto, pervaso da un umorismo gradevole, garbato e leggero, curandone anche la scenografia in un costante background di creature fantastiche che paiono ammiccare alla quotidianità dei personaggi e delle loro storie.

©® Annalisa Ghigo
Giovedì 13 Giugno 2013
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